Doniamo poltrone alla Turchia.

Pure il mio gatto ha una poltrona.

Doniamo poltrone alla Turchia

Erdogan, Ursula e il #sofagate.

Non è stato un gesto di cavalleria, ma un chiaro “segnale del corpo e degli intenti”. In questo caso la cattiva politica non è la poltrona in più, ma quella in meno e l’immagine che, ormai impazza su giornali, web e tv, riporta il leader turco Recep Tayyp Erdogan, punto di riferimento del sunnismo politico mondiale e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in una seduta omologa, da pari dignità.

Peccato, però, che la dignità fosse riferita solo a due persone. Sì, perché al vertice di Ankara era presente anche la presidente della Commissione Ue, l’esecutivo comunitario, Ursula von der Lyen, relegata su un sofà, in una posizione secondaria e senza bandiera alle spalle, che equivale a un simbolo di sconfitta nei confronti di Ursula e di ciò che rappresenta. La vittoria è di Erdogan, così dice il messaggio. La sconfitta è dell’Europa-istituzione, chiusa nel suo politicamente corretto fatto di diritti, di parità, e buone intenzioni.

La presidente von der Lyen, resasi conto della situazione, in diretta, ostenta indifferenza; il portavoce della Commissione, Eric Mamer sottolinea che la Presidente ha preferito “dare priorità alle questioni di sostanza rispetto al protocollo”, al fine di “far avanzare un processo politico fra l’Ue e la Turchia”. Pare che il Protocollo di Cortesia non sia stato eseguito a causa della mancata “prova tecnica” data dalla pandemia. C. Michel avrebbe potuto optare per un gesto simbolico, come rifiutarsi di prender parte al vertice fin quando il protocollo non avesse dato dignità a Ursula Von der Lyen.

 

Recep Tayyip Erdoğan

Recep Tayyp Erdogan, Presidente della Turchia.

La cafoneria di Charles Michel.

La faccenda della “poltrona mancante”.

La grande cafonata è che Erdogan e Charles Michel, rappresentante della Unione Europa, si sono seduti sulle poltrone e soprattutto prima che la signora si potesse sedere dove le era stato indicato, ovvero sul divano. Un minimo di galateo, a certi livelli, dovrebbe essere scontato. È mancata l’educazione, la civiltà, ma soprattutto è stato lanciato un messaggio politico e ostracizzante: siediti e fai quel che puoi.

Anno domini 2021.

Il caso della settimana narra di una poltrona mancante, di un divano e di Draghi, no, non un drago sputafuoco-rettiliano, ma il nostro presidente del Consiglio, colui che ha avuto il coraggio di dire ciò che tutti già sapevano: Racep Tayyip Erdogan, il presidente della Turchia sarebbe al tempo stesso sia un dittatore, che un male necessario. Da giorni e giorni tutti ne parlano, ma in molti non hanno compreso il perché Ursula von der Leyer si sia dovuta sedere sul divano mugugnando un “ehm” di dissenso. Insomma, per un divano si è scatenato il finimondo, ma dietro a tutta questa vicenda, c’è molto di più di un incidente diplomatico, c’è un dramma che rischia di finire in satira, la stessa che sto facendo io, e che potrebbe causare gravi problemi oltre a quelli già creati.

Facciamo un passo indietro e vediamo come sono andate le cose.

Ursula Gertrud von der Leyen

Ursula Gertrud von der Leyen.

Cos’è la Convenzione di Instanbul?

La Convenzione di Instanbul è il primo trattato vincolante al mondo per prevenire e combattere la violenza contro le donne. La Convenzione, la cui prima ratifica fu proprio della Turchia, impone ai governi di adottare una legislazione che persegua la violenza domestica e gli abusi, nonché lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili.

Fin qui sarebbe tutto a posto. Quindi, perché la Turchia ora non ne vorrebbe più sapere? Perché secondo i conservatori la Carta danneggia l’unità familiare, incoraggia il divorzio, e i suoi riferimenti all’uguaglianza vengono strumentalizzati dalla comunità Lgbt.

Cosa è successo? E cosa c’entra la poltrona?

20 marzo 2021: la Turchia si ritira dalla Convenzione di Istanbul, il trattato del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Due giorni dopo l’annuncio, nella speranza che Erdogan quella mattina avesse avuto solo un attacco di onnipotenza, qualcuno prova a fargli cambiare idea. In terra turca partono manifestazioni contro la decisione del presidente, Recep Tayyip Erdogan (al quale sono certamente mancate durante l’infanzia, le ciabatte tirate da mia madre), e critiche al governo turco arrivano anche dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Bisogna precisare che il retro-front della Turchia, che era stato il primo Paese a firmare il Trattato dà fastidio a tutti, perché in gioco non c’è il pallone con il quale Erdogan giocava quando era piccolo e che bucava ogni volta che perdeva, per non far più giocare nessun bambino (non so se sia vero, ma sono una romantica e mi piace immaginarlo con i pantaloncini, sporco di terra, che cova rancore nei confronti dei vincitori). P.S. Erdogan ha giocato a calcio in una squadra turca di seria A.

Il pallone, in questo caso, è un documento che a seguito della sottoscrizione, garantisce pari diritti agli uomini e alle donne e obbliga le autorità statali a prendere provvedimenti per prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e perseguire i responsabili. Un accordo internazionale, dunque, per prevenire e combattere la violenza contro le donne, che vanno dallo stupro, lo stupro coniugale, i maltrattamenti e le mutilazioni genitali femminili.

Quando i ministri si accorgono che questo fuorigioco sarebbe da cartellino rosso, arriva AKT, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, che fa già ridere così se si pensa a cosa ha detto. Il Partito, orientato all’Islam, religione monoteista che tecnicamente si rifarebbe al Corano e che non consiglia affatto mutilazioni genitali, stupri e omicidi, chiede qualche revisione al trattato, qualora ci fosse qualche moglie con strane idee per la testa, tipo divorziare dal marito. Il Partito ha voluto giustificare la “revisione” con farneticamenti tipo: noi siamo conservatori turchi, il divorzio mina le nostre famiglie e le tradizioni della nostra cultura, stai a vedere che poi ci toccherà organizzare pure il gay-pride e via discorrendo.

Racconta tu che racconto io, il conservatorissimissimo ministro degli Interni, Suleyman Soylu, probabilmente tra un post su Facebook e una lavata di denti (sempre per mia immaginazione) ha pensato bene di twittare un pensiero carino verso le persone LGBT definendo tutti dei “pervertiti”, e allo stesso tempo, ha scatenato la competitività logorroica di Erdogan, che ha dichiarato espressamente che per lui certa gente nemmeno esiste, come dire.

Insomma, si è passati dalle elucubrazioni agli oscuri presagi.

Il Governo di Ankara, con tutti i problemi che ci sono al mondo, ha lanciato l’allarme: la Convenzione, quello straccetto di carta che dovrebbe tutelarvi, è una minaccia per la “santità” della famiglia turca! Aiuto-aiuto! Vedi cosa succede a firmare un documento senza leggere tutto, anche le note a piè pagina? Ora abbiamo centinaia di mariti a casa senza schiave da fecondare e sta a vedere se non ci manderanno pure l’enciclopedia da pagare in comode rate da millemila euro per tre generazioni! (Fonti poco attendibili mi dicono sia andata così, chissà…)

Donne: minimo tre figli, capito? O l’enciclopedia chi la paga?

A rincarare la dose, ci ha pensato il Segretario alle Comunicazioni a dire la sua: «Gente, ricordate il nostro motto: famiglie potenti, società potente», tralasciando il fatto che poi il ministro della Giustizia, Abdulhamit Gul, ha dichiarato ancora: “Continuiamo a proteggere con determinazione l’onore del nostro popolo, la famiglia e il nostro tessuto sociale”, aggiungendo, però, che tra una poltrona, tre figli, e una twitterata, sono comunque intenzionati a combattere la violenza contro le donne… ma almeno la prole deve superare i tre elementi, per il resto si vedrà.

Ma come vanno le cose in Turchia?

Nel frattempo, visto che i social non sono solo in mano ai ministri, ma anche al popolo, qualche verità è trapelata da fonti, in questo caso, certe. Dati recenti non se ne trovano, pare non ce ne siano, ma alcune associazioni in difesa delle donne e dei diritti umani, dichiarano che dall’inizio dell’anno (siamo ad aprile) sono state uccise 77 donne, più di 400 solo nel 2020, l’anno della pandemia, e che centinaia e centinaia sono state trovate, e sottolineo trovate, morte in circostanze sospette. Dati che dovrebbero far rabbrividire chiunque, ma a quanto pare non è così: si dice che nessuno abbia mai visto o sentito nulla, ma del resto l’omertà è comune in tutti i Paesi.

Il Ministro degli Interni turco, di fronte a questi dati, se l’è presa, twittando a caratteri cubitali: «No, non è vero, sono tutte menzogne». Dal canto mio non sapevo che i morti mentissero, ma se lo dice Soylu, chi sono io per dire il contrario?

Il problema se lo sono posti, guarda caso, anche gli Stati Uniti: uno degli elementi cardine della Convenzione di Istanbul è proprio la richiesta di raccogliere dati e spedirli al di là dell’oceano… e i dati attuali non ci sono. Eh, forse erano troppo occupati a cercare sedie e poltroncine, per questo se ne sono scordati, ma questa “piccola” dimenticanza e questo “leggero” cambio di rotta potrebbe far dimenticare agli stupratori che non si stupra, agli assassini che non si uccide, ai genitori che niente deve essere mutilato, cucito o tagliato.

È possibile che in una notte le persone abbiano perso i propri diritti?

Come ci si poteva aspettare, dagli Stati Uniti all’Europa ministri, rappresentanti e segretari generali hanno espresso il loro disappunto.

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha espresso grande disappunto per il ritiro turco dal trattato.

La nostra portavoce, la donna che ha dato vita al #sofagate, Ursula von der Leyen, ha twittato: “La violenza contro le donne non è tollerabile. Le donne meritano un solido quadro giuridico per proteggerle dentro e fuori dalla famiglia. Sostengo la Convenzione di Istanbul e chiedo a tutti i firmatari di ratificarla”.

E qui scatta il cartellino rosso da parte della Turchia

Nella tarda serata di domenica 21 marzo, la Turchia ha risposto così ai commenti internazionali sulla sua decisione affermando, in un comunicato del Ministero degli Esteri: “Il ritiro della Repubblica di Turchia dal trattato non deve essere interpretato come un compromesso sulla lotta alla violenza contro le donne. I diritti delle donne nella legislazione nazionale della Repubblica di Turchia sono salvaguardati da norme più avanzate”.

L’incidente diplomatico. I turchi hanno finito le poltrone.

Vertice di Istanbul.

Per Ursula von der Leyen marginalizzata sul divano turco anziché nel posto che le spetta.

Quando Ursula arriva in Turchia, per lei non ci sono né sedie, né poltrone, né bandiere. Da buona tedesca, che non si presta a intrighi di palazzo, bofonchia un “ehm”,  va dritta per la sua strada… e fa goal. Vince la partita, tutti siamo dalla sua parte, tutti ora conosciamo la Convenzione di Istanbul grazie a lei. Eh sì, perché un piccolo sondaggio personale effettuato su 42 persone prese a caso, mi ha riferito che solo otto erano a conoscenza della Carta, dodici credevano che fosse stata messa in disparte perché Ursula non portava il velo, gli altri mi hanno chiesto se si trattasse di un film, una guerra o un libro. Inaccettabile ai tempi odierni.

Fatto sta che il vero problema ora è questo: che fine hanno fatto le poltrone in Turchia? Sono state spogliate del tessuto per rifoderare i divani? E le bandiere? Sono divenute tendaggi?

Vorrei aprire una raccolta di beneficienza: DONIAMO POLTRONE AI TURCHI. Aiutiamo questo popolo ad accogliere le persone come si deve.

In casa mia, ad esempio, pure il gatto ne ha una.

 

Doniamo poltrone alla Turchia.

Erdogan non è cattivo: gli piacciono i divani.