Le più belle frasi sulla vita di “Renoir”, di Massimo Laganà.
Ci sono libri che ti cambiano la vita, altri che ti obbligano a fare i conti con essa. Renoir di Massimo Laganà rientra nella seconda categoria.
Non sono una critica letteraria, sono una lettrice che sa cosa le piace e cosa, invece, non comprende appieno. Dico “comprende” perché non credo esistano libri brutti, ma di certo ce ne sono alcuni che amo al punto da impararli quasi a memoria.
A dicembre ho deciso di sceglierne una manciata tra quelli usciti nel 2021: uno di questi è Renoir, dello scrittore e giornalista Massimo Laganà, edito da Morellini Editore.
Genesi. Mi trovavo a Milano presso la sede della casa editrice capitanata dall’eclettico (spero non me ne voglia) Mauro Morellini, quando, bontà sua, mi dona una silloge di racconti dalla copertina verde bottiglia. In realtà non mi spiega nulla dell’opera, me la piazza tra le mani e basta. Non leggo nemmeno il nome dell’autore, mi aspettava un’ora di treno ed ero certa che sarei giunta nel capoluogo piemontese con il libro già bello che letto.
È così che inizia il mio viaggio con Massimo Laganà, nove racconti scritti in seconda persona (roba da far tremare la penna a qualsiasi scrittore…), ambientati in nove città italiane, ove orbitano protagonisti diversi in conflitto con il loro io, oppure inermi e intontiti di fronte alle scelte da intraprendere. 150 pagine che mi hanno portata a ripercorrere la mia vita da adolescente, ragazza, figlia, e poi amante, amata, odiosa e odiata, l’esistenza di una trentottenne che vive oltre la felicità, attratta dal baratro. Eh, sì, Massimo, anche io sono stata una figlia cinica, ho due genitori pazienti, e no, “non porto in grembo l’egoistica proiezione di me stessa”; e poi ancora ho amato qualcuno e ho fatto del male a qualcun altro. Ho ascoltato i Radiohead, “non ho cliccato il tasto d’invio per fare quella chiamata quando mi trovavo a Roma all’angolo di via Giolitti” e mi sono tremate le gambe quando ho compreso l’immensità della miseria umana, la mia.
Qualcuno ha detto che Renoir è un testo musicale, dove ogni parola, scelta con la massima cura, vuole imitare una musica, uno spartito di lettere che formano concetti intellettualmente altissimi. Può darsi, ma per me è stato diverso ed è stato così intimo e al tempo stesso doloroso, che ho deciso di far parlare lui, Renoir, e di non aggiungere nient’altro perché, come diceva Seneca, lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto.
Renoir di Massimo Laganà non è un libro, ma un dipinto. Pennellate di vita, di attimi, di denti che affondano nelle labbra, di grida soffocate.
Pennellate, appunto, di parole.
Questo è e sarà uno dei libri della mia vita per molto, molto tempo.
Michela Tanfoglio
LE QUINDICI FRASI Più BELLE DI MASSIMO LAGANA’
- Peggio degli abbandoni, sono solo gli addii che non sai.
- Ogni distacco è un reato: un’azione crudele, che andrebbe sanzionata sempre severamente.
- Ti sei rifugiato nei traguardi. Come un alcolista anonimo. Anzi no. Con nome e cognome. Malato di iperrealismo ottuso e concludente. Tu te ne sbatti delle persone senza rimpianti né pentimenti. Ma un cuore ce l’hai. E senti un vuoto abissale. Nel tentativo di colmarlo, ti sei ingenuamente costruito una piramide di doveri da assolvere. Di step da raggiungere. Di cose da fare. Vivi in simbiosi con l’agenda. Tu non esisti. Tu adempi. Ti stordisci. Dici che lo fai per trovare un senso. Per ingannare il tempo. E ti sbagli di grosso. Perché il tempo non si inganna. Perché il tempo ci fotte sempre. Tu ti ami da morire. Non sei ricambiato. La tua infelicità non è un complotto dei poteri forti. È che sei pazzo. Non ti chiedo di dare un senso alla morte. Niente e nessuno potranno ripagarmi della mia prematura dipartita.
- È scoccata la mezzanotte. Il cuore ha molti più battiti.
- Sembra la pace, in realtà è una tregua.
- Versi il veleno tutto d’un fiato. Non scandisci le parole, come prediligi, abitualmente. Forse era troppo urgente il bisogno di scaricarle addosso la tua rabbia mista a frustrazione. E quasi desideri che lei replichi con altrettanta durezza e volgarità. Sogni un drammatico gioco al rialzo. Muoia Sansone con tutti i filistei.
- Due invasivi indovinelli destabilizzano con irrisoria facilità la fragile tregua fra te e te.
Il primo: «Stai ancora con Giovanna?»
«A giorni alterni», rispondi ogni volta e a prescindere con la tua amabile e amara ironia. Poi guardi l’orologio: un riflesso condizionato. Perché alle otto di sera la situazione potrebbe essere drasticamente mutata rispetto alla tarda mattinata. Per ipotesi. Per davvero.
Secondo rompicapo: «Da quanto tempo state insieme?»
«Intendi il tempo effettivo o affettivo?»
- Sembra un trionfo empatico, invece è l’antivigilia della catastrofe. Perché due anime alla deriva possono specchiarsi e incastrarsi fino a non sopportarsi più. Come un trapianto. Se diventiamo la protesi dell’altro, il rigetto prima o poi ci sarà. È questione di tempo.
- «Conosci il tuo problema principale? Che hai un ignobile e fottutissima paura del regno animale, animali compresi?»
- «E tu come sopravvivi al liberalismo degli affetti?»
- «La rassegnazione fa miracoli. Accetto stoicamente la miseria della condizione umana».
- S’è fatto tardi, ma non diventa buio. Perché stasera il sole non finisce più di tramontare. E il cielo promette: “Domani ritorna, e sarà ancora più bello”. Nell’aria c’è odore di infinito. Nessun colore appare proibito.
- Da quel dì vivi il perenne e angoscioso sentimento impopolare di chi si cimenti a rimontare controvento e contromano lo svantaggio umano. Sei sempre in errore, in difetto. In ritardo.
- Ti pervade uno struggimento molto più grande della tua capienza. Lo abbracceresti fino a fargli male. E stai male, da quanto gli vuoi bene. Non sai vivere nelle mezze misure. Perciò hai deciso di non vivere. Astenuto.
- «Immaginavo che lo sapessi già. E sicuramente saprai pure che non lo facciamo quasi mai per fame. Magari è per legittima difesa. Oppure, che ne so, per l’inverno del nostro scontento. Per quelle mille irragionevoli pulsioni che ci governano. Non ho mai afferrato con precisione la dinamica. Sta di fatto che d’un tratto, improvvisamente e violentemente, sentiamo il bisogno di colpire e mordere. Nei casi più estremi e deliranti, siamo perfino convinti di agire a fin di bene. Di certo c’è soltanto che facciamo un male dell’anima agli altri».
- Lei deve uscire dalla cerchia degli affetti di primo grado. C’è tutto un mondo intorno.
- Si presenti a viso scoperto e la smetta di nascondersi. Nessuno le farà del male. O forse sì. Ma non è questo il punto…
Massimo Laganà nasce a Reggio Calabria il 10 maggio 1966. A vent’anni e metà università si trasferisce a Milano. Dopo un limitato numero di vicissitudini, elegge Bergamo come città del cuore. Dottore in Giurisprudenza per amore di papà, diventa giornalista professionista nel 1992. È in forza al settimanale Oggi, dove ha anche un blog, che si chiama L’informazione dilaga. Gli piace dire che ha lavorato all’Europeo e al Corriere.
Per Morellini editore, ha scritto Renoir (2020) e ha partecipato alle antologie Milano d’autore (2014), Roma d’autore (2015), Bologna d’autore (2016), Genova d’autore (2017), Calabria d’autore, Lettere alla madre (2018), Sicilia d’autore (2019), Lettere al padre (2020), Tra uomini e dei (2020), Romagna d’autore (2020), E poi ci troveremo come le star (2020), con i racconti: Telefonami tra vent’anni, Niente da capire, Quale allegria, Pezzi di vetro, Siamo soli noi, Donna Concetta, Alice, La cura, Messico e nuvole, L’amore non esiste, Belli capelli. È presente nelle raccolte VINYL – Storie di dischi che cambiano la vita (2017) e On the radio (2018), con due racconti scritti assieme a Vito Ribaudo: Un bacio davanti a quel portone e La Domenica delle Palme. Nel 2018 ha conquistato il premio “Borgo Albori”, sezione giornalismo. Ha vinto il “Premio Speciale della Giuria Città di Cattolica 2021”, con Renoir, uscito alla fine del 2020.

Massimo Laganà nasce a Reggio Calabria il 10 maggio 1966. Dottore in Giurisprudenza, diventa giornalista professionista nel 1992. È in forza al settimanale Oggi, ha lavorato all’Europeo e al Corriere.
- Recensione di Michela Tanfoglio, CEO EditReal
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